La costruzione della chiesa della Pietà dei Turchini risale alla stessa epoca in cui fu edificato il conservatorio omonimo. Nel 1595 i lavori erano già stati ultimati in un’area tra l’altro piuttosto esigua. Sin da principio l’edificio sacro era composto solo dalla navata centrale, ai cui lati erano disposte le dieci cappelle che tuttora si vedono. Rispetto alla forma attuale, tuttavia, mancava del transetto e della cupola: per realizzarli e ampliare la chiesa, i governatori del conservatorio raccolsero un fondo con l’aiuto di generosi benefattori, tra i quali il noto mercante-banchiere olandese Gaspar Roomer.
L’allungamento della chiesa comportò l’acquisto di tre appartamenti e di un terraneo che si trovavano nella strada di San Bartolomeo, a ridosso dell’abside originaria. Furono spesi 3280 ducati solo per la compravendita, alla quale seguirono nel 1633 i lavori di demolizione, per far spazio alle strutture murarie del transetto. I lavori terminarono nel 1639, sotto la guida di Felice di Marino. Le opere in ferro furono affidate a Diego Pacifico e Giovan Battista Vinaccia, mentre i vetri furono commissionati a Carlo Armenante.
La cupola fu oggetto di molteplici interventi di restauro statico. Alcuni documenti attestano che nel 1674 mastro Giovan Jacopo di Marino, sotto la direzione del regio ingegnere Luise Naclerio, consolidò l’intera struttura. Nel 1688, poi, in seguito al tremendo terremoto che danneggiò molte fabbriche civili e religiose, fu posto un cerchio di ferro per imbrigliare la cupola. Importanti lavori di ristrutturazione dell’intero tempio si ebbero nel 1725 in seguito alle perizie degli ingegneri Filippo Marinelli, Giuseppe Stendardo e Cristoforo Sion, che avevano evidenziato la precarietà statica del sacro edificio. Le opere strutturali si protrassero a lungo, anche perchè nel 1723 un nuovo terremoto provocò gravi lesioni alla cupola, che fu riparata l’anno seguente. Nel 1739 fu assegnata al riggiolaro napoletano Donato Massa e al marmoraro Carlo Dellifranci la posa in opera del pavimento.
Tra il 1769 e 1770, furono affidate all’ingegnere napoletano Bartolomeo Vecchione la progettazione e la direzione dei lavori per la realizzazione di un atrio innanzi alla chiesa, oggi scomparso, ma raffigurato nella pianta del duca Carafa di Noja (1775). Lo stesso Vecchione si occupò del rifacimento della facciata. All’interno, a destra dell’ingresso, è collocato il pulpito ligneo settecentesco, identificabile con quello progettato da Riccardo Du Chaliot.
La visita del complesso chiesastico, ora procederà in senso orario, partendo dalla navata sinistra.
Cappella n. 1
Il patronato della cappella, così chiamata per un dipinto che ornava l’altare andato disperso e nota anche come cappella dell’
Agonia di San Giuseppe, apparteneva dal 1759 a Giuseppe Della Mura. L’altare, in marmi policromi, datato sulla mensa 1759, è opera del marmorario Francesco Raguzzini. Sull’altare vi è un’ancona dalla ricca carpenteria lignea, con al centro la tela di Paolo De Matteis raffigurante il
Transito di San Giuseppe, già appartenente alla famiglia Della Mura. La cimasa con il
Padre Eterno è attribuita al pittore tardo-manierista Pompeo Landulfo. Alle pareti vi sono le tele, già nella vicina chiesa di San Giorgio dei Genovesi, del sarzanese Domenico Fiasella, in deposito dal 1980. A sinistra, la
Madonna in gloria con la veduta di Genova, a destra il dipinto di Giovanni Francesco Romanelli raffigurante il
Beato Tolomei guarisce un’indemoniata. Sul piedritto a sinistra, su una lastra tombale, un iscrizione e sulle pareti due epigrafi.
Cappella n. 2
L’altare, del XIX secolo, di semplice disegno, è sormontato da un crocifisso ligneo databile alla seconda metà del Seicento. Sulle cornici del timpano sono due putti in stucco che reggono, l’uno il calice, l’altro la corona di spine. Nella volta a tutto sesto, affreschi raffiguranti scene della
Passione di Cristo, riferiti dalle fonti a Onofrio de Lione. Alle pareti, due tele di ignoto artista prossimo ad Andrea Vaccaro: a sinistra l’
Orazione nell’orto, a destra la
Flagellazione. Di particolare rilievo sono i due monumenti sepolcrali dei Soria de Morales, patroni della cappella. A sinistra il cenotafio di Diego Soria, marchese di Crispano, sormontato dal busto del medesimo, opera documentata del carrarese Pietro Ghetti; a destra la memoria funebre di Diego
senior, datato 1641. I monumenti sono completati da due epigrafi.
Cappella n. 3
La cappella fu dedicata a San Vincenzo nel 1621 dal marchese di Collenise della famiglia De Ponte. L’altare, di marmi policromi, è lavoro di Carlo Dellifranci. Su di esso la grande tavola dell’
Annunciazione di Belisario Corenzio, con cornice lignea a motivi floreali. Alle pareti e sull’archivolto si vede un ciclo di affreschi, con
Storie della Vergine ascrivibile sempre a Giovanni Balducci: a sinistra in basso, la
Nascita della Vergine e in alto la
Visitazione; a destra, la
Presentazione di Gesù al tempio e la
Presentazione di Maria al tempio. Al centro della volta vi è l’
Assunzione della Vergine. Sulla parete di sinistra è uno stemma di marmo dell’arme abraso, accompagnato da un’iscrizione. Sulla parete opposta è collocato, al centro di un’iscrizione, il busto a rilievo di Ascanio Auriemma, riconducibile a un maestro della cerchia di Giulio Mencaglia.
Cappella n. 4
Nel 1642 la cappella, già appartenuta al rettore della chiesa Giuseppe Incarnato, fu venduta a Isabella d’Aquino. Il patronato passò in seguito alla famiglia Ferri, come è attestato dall’iscrizione sulla lastra tombale al centro del pavimento, recante lo stemma gentilizio: uno scudo sannitico con un ceppo d’albero avente un’incudine alla sommità sulla quale sono due colombe affrontate con un mantello tra gli artigli. Sull’altare settecentesco del Dellifranci, vi è la tela, di ignoto seicentesco, raffigurante
San Nicola di Bari. Le pareti accolgono affreschi con le
Storie del Santo eseguiti da Agostino Beltrano nel 1641: a sinistra , la
Contemplazione dell’urna con i resti di San Nicola, e un tondo con
San Nicola che guarisce uno storpio; nella volta
San Nicola in gloria; a destra
San Nicola che distribuisce la Comunione, e l’
Istituzione dell’Eucarastia.
Cappella n. 5
Già di proprietà della congregazione dell’Oratorio dei Banchi, nel 1641 la cappella fu donata alla chiesa insieme all’
Angelo Custode di Filippo Vitale, tuttora sull’altare. In seguito il patronato passò ai Cavalcanti dell’Ufficio del Corriere Maggiore e infine alla famiglia Marinetti. L’altare, in marmi policromi, è datato 1778. Il pavimento è in quadrelle di terracotta maiolicata di fine Settecento, con al centro un’epigrafe.
Cappellone del transetto sinistro
Nel 1780 furono affidati agli ingegneri Nicola del Giacomo ed Emanuele Ascione il progetto e la direzione dei lavori. Le tele che decorano l’altare furono eseguite da Giacinto Diano nel 1781: da sinistra, l’
Adorazione dei Magi, firmata, l’
Adorazione dei pastori e la
Presentazione di Gesù al tempio. In alto la fascia centrale e le due tele laterali, tutte del Diano, rappresentano la
Strage degli Innocenti. Più in basso, sulle porte, due tele raffiguranti i profeti Geremia e Isaia. A sinsitra del finestrone è il
Sogno di San Giuseppe, a destra la
Fuga in Egitto. Nel sottarco vi sono due dipinti: al centro il
Padre Eterno con coro di angeli, a destra un angelo musicante.
Altare maggiore
La balaustrata che precede l’altare è opera documentata di Carlo Dellifranci. L’altare maggiore fu realizzato da Giovanni Atticciati tra il 1770 e il 1773. Nell’abside si trova la grande tela di Giacinto Diano con la
Pietà. Dietro all’altare troviamo anche il dipinto di Juan Dò l’
Adorazione dei pastori e nell’abside la
Resurrezione di Cristo di Paolo De Matteis. La grande tela rettangolare, posta al di sotto della
Pietà di Diano, rappresenta l’
Invenzione della Croce, dipinta dal Giordano alla fine degli anni ottanta del Seicento.
Cappellone del transetto destro
Alla destra dell’altare maggiore si erge la grande cappella dedicata a Sant’Anna, fondata dal regio consigliere Francesco Rocco nel 1667. L’apparato marmoreo è opera del toscano Dionisio Lazzari. Al centro, sull’altare, è la tela con
Sant’Anna che offre Maria all’Eterno di Andrea Vaccaro. Ai lati due olii di Giacomo Farelli: a sinistra la
Nascita di Sant’Anna, datato 1671, e a destra la
Morte di Sant’Anna. Sulla parete laterale sinistra vi è il monumento sepolcrale di Francesco Rocco, scolpito da Lorenzo Vaccaro nel 1678. A destra si legge un’iscrizione incisa su un cartiglio marmoreo. La fascia superiore della cappella è occupata da tele di Nicola Vaccaro che raffigurano l’
Apparizione di Sant’Anna e altri episodi miracolosi. Ai lati del finestrone vi sono le tele del napoletano Giuseppe Mastroleo con, a sinistra, le
Nozze della Vergine, a destra, il
Transito di San Gioacchino. Dello stesso maestro, di lato, a sinsitra, la
Cacciata di Anna dal tempio, a destra l’
Annunciazione. Il sottarco ospita due dipinti del 1733, anch’essi del Mastroleo: un
Angelo musicante a sinistra, l’
Assunzione della Vergine al centro. Affrontati sulle pareti laterali della cappella sono gli stemmi di casa Rocco, in marmi policromi: l’arme presenta nel capo tre rocchi a forma di torre.
Cappella n. 6
La cappella fu di patronato della famiglia D’Amore. L’altare, in marmo bianco di Carrara, risale alla prima metà del Novecento e riporta un’iscrizione, come pure la pisside. Alla parete sinistra il
Calvario di Cristo e su quella di destra la
Pietà, tele entrambe di Crescenzo Gamba, provenienti da San Giorgio dei Genovesi. Sull’altare un moderno catafalco di alluminio e vetro contenente una coeva statua di santa Fara. Fuori della cappella vi è il marmoreo fonte battesimale, datato sul plinto 1615. Il piatto riporta sul bordo il nome del donatore.
Cappella n. 7
La cappella fu concessa nel 1627 a Filippo Lantellieri. L’altare è stato modificato agli inizi dell’Ottocento. Alle pareti ci sono dipinti di Andrea Vaccaro: la
Flagellazione, a sinistra, l’
Incoronazione di spine, a destra, qui si possono ammirare anche altri due dipinti siglati da Andrea Vaccaro: l’
Andata al Calvario e Cristo dinanzi a Pilato . Sulle pareti laterali due iscrizioni. In questa cappella è stato collocate anche il dipinto la
Deposizione di Luca Giordano.
Cappella n. 8
Sull’altare della cappella domina la
Trinitas Terrestris, di Battistello Caracciolo, commissionata nel 1617, insieme alla cornice, dai patroni Sebastiano e Santolo Manso. Due piccole tele, quasi certamente seicentesche, sono collocate in alto sulle pareti laterali. Al di sotto, a sinistra, un’epigrafe. Su un piedistallo, la statua in cartapesta raffigurante
Sant’Antonio da Padova della prima metà del XIX secolo.
Cappella n. 9
Il patrono Leonardo Genoino, marchese di Ortodonico in Principato Citra, commissionò ad Andrea Molinaro la tavola del
Rosario, ancora oggi visibile sull’altare. Al soffitto è un affresco, più volte ritoccato, raffigurante la
Gloria di San Domenico di Luca Giordano, autore anche delle tele laterali con
San Giacinto che attraversa il Boristene, a sinistra, e la
Visione di Santa Rosa da Lima, a destra. Al centro del pavimento la lastra tombale con lo stemma gentilizio: scudo di forma sannitica inquartato che alterna l’aquila bicipite coronata con un braccio, cosiddetto destrocherio che impugna sei fiori; l’intera composizione araldica culmina con l’elmo a cancelli coronato di cinque fioroni e sormontato da un’aquila imperiale; alla punta dello scudo la croce dell’ordine di Malta; al di sotto un’iscrizione.
Cappella n. 10
Le notizie certe sulla cappella risalgono al 1778. Sull’altare vi è la tela con la
Madonna tra i Santi Gennaro e Antonio da Padova del napoletano Giovan Battista Rossi. Alle pareti, a sinistra, la
Morte di Sant’Alessio, di ignoto seicentesco, a destra una grande tela, proveniente da San Giorgio dei Genovesi, del cortonesco Giovan Francesco Romanelli rappresentante il
Beato Bernardo Tolomei che guarisce un’indemoniata. Nella cappella si può vedere anche una statua vestita dell’
Immacolata del 1864. Sul pavimento una lastra tombale con inscrizione.
Antisacrestia e ufficio parrocchiale
Nell’antisacrestia c’è un’epigrafe settecentesca e un crocifisso novecentesco in cartapesta. Nell’ufficio parrocchiale è custodito il dipinto di un’anonima tela con l’
Educazione della Vergine, forse di inizio Novecento.
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