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Napoletani prima… o poi

JeansMusic Festival

Chiostro dei Carmelitani, Nardò
21.00 - 22.00
Gratuito

una coproduzione Fondazione Pietà de’ Turchini e Orchestra Filarmonica di Lecce


Talenti Vulcanici
Margherita Pupulin, Heriberto Delgado violini
Sara Bagnati viola
Marius Malanetchi violoncello
Juan Josè Francione liuto
Marco Lo Cicero contrabbasso

Stefano Demicheli clavicembalo e direzione


Main Sponsor Talenti Vulcanici

Intesa Sanpaolo


Maggiori informazioni

JeansMusic Festival

Programma

Domenico Gallo (Venezia 1730 – Venezia 1768)
Sonata IV in sol minore per due violini, viola, violoncello e basso continuo
Largo e staccato, Allegro, Adagio ma non tanto, Presto

Angelo Ragazzi (Napoli 1680 – Vienna 1750)
Sonata a tre in re minore
Allegro, Adagio, Allegro

Angelo Ragazzi
Sonata a tre in si minore
Adagio, Allegro, Adagio, Allegro

Domenico Scarlatti (Napoli 1685 – Madrid 1757)
Sonata K 208 in la maggiore per clavicembalo (Adagio e cantabile)
Sonata K 322 in la maggiore per clavicembalo (Allegro)

Arrangiamento per liuto di Juan Josè Francione

Domenico Gallo
Sonata I in sol maggiore per due violini e basso continuo
Moderato, Andantino, Presto

Antonio Valente (Napoli c. 1520 – Napoli c. 1601)
Gagliarda napoletana per clavicembalo

Domenico Gallo
Sonata XII ‘Follia’ per due violini, viola, violoncello e basso continuo
Allegro, Adagio, Allegro 


Napoletani prima… o poi

Marginale appare, nel contesto partenopeo Sei-Settecentesco l’interesse per la letteratura strumentale eppure lentamente va acquisendosi un notevole patrimonio che lascia intravedere una realtà artistica molto più articolata, non solo ossessionata dalla scena musicale ma affascinata dal diletto sonoro in tutte le sue multiformi manifestazioni. La letteratura strumentale, fiorita in seno all’invitta “scuola”, trova proprio nelle gallerie, nei saloni e nelle stanze della musica partenopei la propria giustificazione, avvalorata, soprattutto, dalla predisposizione e predilezione mostrata, per gli strumenti, da diversi nobili “virtuosi”. Il principe della Riccia, il principe di Torella, il duca Serra di Cassano, il duca di Spezzano per citarne soltanto alcuni amavano intrattenersi in “reservate” accademie dividendo il leggio con i musicisti mercenari. La letteratura strumentale ideata a Napoli ha una cifra del tutto originale fondata su rassicuranti moduli formali e ardite soluzioni che non disdegnano stilemi alla “francese” o all’“italiana” e mescolanze inusitate; il colore “napoletano” si fonda su strategie armoniche fortemente connotative nonché su moduli ritmici e melodici di chiara ascendenza teatrale, opportune danze e squarci “severi” completano gli ingredienti adoperati in queste inarrestabili fucine armoniche da artigiani baciati dal genio o muniti di una solida professionalità. Tempi di danza si susseguono, variamente, nelle composizioni in cui si miscelano sapientemente brillanti passaggi virtuosistici contrassegnati da un variegato prontuario di volatine, rapide successioni di terzine di biscrome, arpeggi e arguti automatismi tra un campionario di progressioni, imitazioni, sincopati e suggestive soluzioni armoniche. Reminiscenze “veneziane” e rimembranze sacre – che poi non erano quelle che s’incontravano anche negli spazi teatrali in un raffinato gioco di contaminazioni senza attendibile paternità? – sono talvolta presenti in questo repertorio. All’amalgama di questi sfaccettati materiali, gli autori pervengono attraverso un indiscussa sapienza alchemica dove anche la pagina destinata all’uso effimero del genere usa-e-getta ha la sua dignità e la sua fugace bellezza. La costruzione melodica, al di là di possibili riferimenti velati o rivelati, è pressoché sempre concepita con notevole bravura e basterebbero i temi architettati per i movimenti lenti per avvalorare tale ipotesi. “Naturalezza” e “semplicità” sono gli attributi – o meglio i trabocchetti di una “sprezzatura” arditissima – che di sovente accompagnano la musica “napoletana”, requisiti mai smentiti da generazioni di artisti consapevolmente compiaciuti di essere salvaguardati da queste “allegorie” destinate a proteggere una sofisticata disciplina, rigorosa e ferrea. La figura di Domenico Gallo è traghettata nella “storia” maggiore dall’errata attribuzione di sue musiche all’astro pergolesiano. L’equivoco perdurato sino al Novecento gli è valsa una notorietà inaspettata, il recupero stravinskyano sottoposto a una curiosità filologica ha fatto emergere il suo nome e un interesse per la sua misteriosa attività. Il balletto Pulcinella del celebre compositore russo è ricco di rinvii alla letteratura “napoletana” settecentesca e per un “disguido” storico si avvale di musica lagunare. Tuttora dall’incerta “patria”, alcuni lo vogliono nativo della Serenissima, e dalla sconosciuta formazione, sebbene segnalato come figlio di quella trionfante “scuola” partenopea, s’impone all’attenzione degli ascoltatori per l’equilibrata e fascinosa scrittura tutta tesa a rassicurare i fruitori attraverso stilemi ricorrenti e contemporaneamente a stupirli per delle scelte stilistiche insolite. Gli altri artisti legano la propria formazione e la propria attività alla capitale meridionale occupando ruoli ambiti nelle maggiori istituzioni musicali, Valente fu organista nella chiesa di Sant’Angelo a Nido mentre Supriani e Ragazzi spiccavano all’interno dell’ensemble di Palazzo e ben presto raggiunsero una notorietà europea che li portò in giro per le grandi capitali musicali del tempo. Angelo Ragazzi, formatosi al Conservatorio di Sant’Onofrio e divenuto celebre alla corte di Vienna e in Spagna, è un musicista assai caro alla Fondazione Pietà de’ Turchini che con tenacia sta riscoprendo la sua produzione tutta da valorizzare e rivalutare per la ricchezza e l’originalità della sua cifra stilistica. Con disinvoltura si cimenta in “severe” pagine a sole voci, è il caso della bellissima Missa Carolus Sextus Romanorum Imperator et Hispaniarum Rex (lo scorso mese eseguita nella sede della Fondazione), nonché in articolate e “moderne” pagine strumentali ad altissimo tasso sperimentale.

Paologiovanni Maione 

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