Primadonna/Primouomo nell’opera del primo Settecento

In collaborazione con il Ministero della Cultura – Direzione Regionale Musei Campania

MAIN SPONSOR INTESA SANPAOLO

Teresa Iervolino, mezzosoprano
Christophe Rousset, direzione

Talenti Vulcanici

Violini I: Simone Pirri, Isabel Soteras Valenti, Karolina Habalo

Violini II: Katarzyna Solecka, Andrea Beatriz Lizarraga, Ulrike Slowik

Filippo Bergo, prima viola

Clelia Gozzo, viola

Marcello Scandelli, primo cello

Anna Camporini, cello

Davide Nava, contrabbasso

Elisa La Marca, tiorba

Marco Crosetto, clavicembalo

Consulenza Musicologica di Paologiovanni Maione

Trascrizioni a cura di Enrico Gramigna e Guido Olivieri


Non solo virtuosi: le equipe al servizio della scena:

Impegnativa appare l’abbagliante vita dei virtuosi dietro le quinte, indaffarati nel perfezionare le proprie doti vocali e attoriali, e sempre intenti a salvaguardare l’immagine costruita con spasmodica disciplina e oculata diplomazia tra autorevoli patronati e incarichi altisonanti, cercano di volta in volta di costruire intorno a sé un entourage capace di seguirli e valorizzarli.

Una “famiglia” laboriosa e variegata, dove non mancano tensioni e acredine, si compone in occasione di ogni stagione teatrale dando vita ad alleanze reali o fittizie, e talvolta avviando sodalizi destinati a scrivere memorabili pagine di indiscutibile valore artistico. L’alzata di cartello avviene dopo laboriosi patti stipulati tra tutte le maestranze riunite per dar vita al complesso percorso spettacolare, scandito da tappe destinate a comporre una “mappa” drammaturgica esemplare per portato ideologico e riscontro performativo.

Cantanti, compositori, librettisti, scenografi, pittori dialogano per definire strategie e piani tattici da seguire a maggior gloria delle loro professionalità e soprattutto dell’economia della difficile macchina teatrale. L’impresario, coadiuvato da un avveduto milieu che affolla convenzioni e articoli non scritti in atti notarili, ma da patti “segreti” altrettanto meticolosi, è chiamato a creare compagnie equilibrate e agguerrite in grado di soddisfare aspettative e volontà di quanti promuovono la vita materiale della scena. È nella mente di chi sovrintende alla nascita di un’impresa tanto “difficile” quanto “bellissima” immaginare e realizzare qualcosa di inusitato partendo proprio da arruolare figure adeguate a costruire la chimerica idea.

Senz’ombra di dubbio uno dei punti vulnerabili è rappresentato dal novero di cantanti da mettere insieme per dar vita ai “sogni” e alle “favole” da rappresentare, i divi vocali giungono con un “baule” che raccoglie esperienze disparate tra cui brillano le tante vite fittizie fatte di storie gesti musiche destinate a raccontare percorsi formativi di inenarrabile fascino. Grazie al lungo tirocinio e al lavoro sulle potenzialità tecniche acquisite in virtù di un’autocoscienza spietata, indicano ai loro interlocutori le strade da battere affinché maggiormente si possa ottenere un prodotto vincente atto a soddisfare la perigliosa impresa.

La programmazione teatrale settecentesca, ma non solo quella, asseconda le attitudini dei rosignoli capaci di recare seco prontuari formali e strutturali collaudati nonché un florilegio di situazioni sceniche in cui sono maggiormente efficaci e per i quali c’è grande attesa da parte del pubblico. Costruiscono, con arguzia, nel corso del loro transito sulle tavole un’immagine riconoscibile fatta di espedienti “unici” da centellinare nel corso del loro “anno teatrale” mantenendo in trepida attesa le platee desiderose non solo di ri-vedere e ri-sentire le consapute particolarità ma di coglierne gli ulteriori sviluppi e varianti possibili. Non a caso alcune delle grandi stelle del tempo erano investite del ruolo di “concertatore”, solitamente compito affidato al poeta del teatro, per adempiere a tutte quelle necessità rappresentative che sovrintendevano la messinscena dell’opera, tra queste brillano Marianna Benti Bulgarelli detta la Romanina e Nicola Grimaldi detto Nicolino/i rispettivamente musa dell’“uomo universale” Metastasio e celebrato attore-cantante europeo, anch’egli alla “corte” del debuttante poeta cesareo quale Enea nella miliare Didone abandonata del 1724 dove la Romanina rivestiva gli abiti della regina cartaginese.

Alle scabrose tensioni tra le alte cariche canore che tanto clamore riscuotono tra stampa e pamphlettistica fanno da contraltare armoniose e serene convivenze atte a stilare mappe pacifiche di guerre apparenti inscenate a maggior gloria. I singoli organigrammi delle “locandine” delle stagioni non sempre disegnano efficaci e inscalfibili orditi e tessiture in quanto è dall’intera “trama” del calendario che è possibile desumere le gerarchie sottese all’interno dell’equipe.

Nell’occhio del ciclone sono ovviamente i librettisti e i musicisti che debbono “rivestire” di versi e musica gli esposti esecutori, ed è in questo “conclave” che si decidono le sorti del “palcoscenico” tra scelta di soggetti adeguati, azioni improcrastinabili, ruoli confacenti, numero di versi e di scene in cui apparire, posizione dei brani chiusi, tipologie e stili da dispiegare, arie “favorite” da incastonare, versi da coniare su “scheletri” musicali preesistenti, e quant’altro può tornare utile nella confezione del capo d’opera.

I musicisti saranno anche sotto scacco per una serie di occorrenze “strumentali” dettate da situazioni e modulate su urgenze di tutt’altra natura che musicale, un ritornello potrebbe essere più o meno lungo a seconda della prospettiva scenografica o del movimento previsto dall’attore così come l’articolazione dei pezzi solistici deve compiacersi di assolvere i desiderata del virtuoso di turno.

Tutto ciò avvolge la vita teatrale di ogni città europea coinvolgendo piccole e grandi realtà, Napoli nel primo Settecento è una fucina di idee teatrali e musicali dove si sperimenta l’impossibile e si formano veri eserciti di musicisti addestrati per conquistare l’esigente mercato internazionale. Compositori che determineranno il gusto e insegneranno un infallibile sistema di scrittura invadono le strade dell’arte in una migrazione dorata ma anche rischiosa e talvolta infruttuosa, non c’è paese che non viene raggiunto da questa schiera armonica e ne è conquistato. Al loro magistero si formano una miriade di musicisti e molti apprenderanno la straordinaria alchimia indirettamente, maestri non solo di composizione ma anche di canto e strumento, anzi strumenti.

Su tutti giganteggia Nicola Porpora, il gran mago “costruttore” dell’astro Farinelli, reclamato come operista e insegnante di canto in ogni latitudine; egli metterà a parte del suo sapere le più potenti case regnanti senza disdegnare i diseredati fanciulli che affollano gli istituti benefici a cui offre le proprie premure. Lui sa come accontentare i sovresposti “usignoli” e valorizzare i propri allievi, è un esercizio espletato in molte occasioni con acume e inventiva come nel 1739 quando appronta La Semiramide riconosciuta per la coppia Vittoria Tesi e Gaetano Majorano detto Caffarelli mettendo a segno una nuova intonazione sul celebre libretto già musicato nel ’29 a Venezia per gli artisti Lucia Facchinelli e Nicola Grimaldi.

La sera del 20 gennaio, in occasione del genetliaco di Carlo di Borbone, nell’affollato teatro ricco «di dame, che comparvero con abiti assai vaghi e adorni di gioie», il nuovo cimento di Porpora “riportava” «il comune applauso» confermando il risaputo valore. Per le due star progetta un “percorso” ricco di efficaci artifici vocali ed espressivi, gli sconquassati affetti di seguito si nutrono del caleidoscopico mondo sonoro del musicista che non lesina nel confezionare brani rapinosi.

Il sipario cala. sul secondo atto, dopo una pagina affidata al gran musico Caffarelli, qui negli abiti di Scitalce, che avviata da un “nervoso” recitativo serrato, tra affetti diversi – «Il suo dolor mi spiace, | la sua colpa abborrisco e il core intanto | di rabbia freme e di pietà sospira | e mi si desta il pianto in mezzo all’ira» –, in un percorso “dubbioso” fatto di repentini scatti, approda alle “contemplative” incertezze segnate da una scrittura strumentale che dà voce, talvolta in maniera discordante, al muto sentire dell’anima.

Lo scarto di tempo nella sezione B accentua le tensioni e l’agognata serenità presto interrotta dalla ripresa, dove ancor più accentuate appaiono quelle scelte tese a destabilizzare la parola, si vedano i melismi sugli statici lemmi /trattiene/ (una sorta di acrobatica perdita di equilibrio: un sorprendente ruzzolare di semicrome discendenti con “inciampo”) e /sa/ (segnato da un “madrigalismo” inatteso che disegna uno stato d’animo “astratto”).

L’arguta suddivisione della quartina in due distici da “abbigliare” in maniera contrastante nasce da un modello strutturale inaugurato dal gran Nicolino che con disinvoltura aggrediva stili diversi all’interno di un unico brano solistico. Per la Tesi-Semiramide, il musicista, intesse un’aria, «Fuggi dagl’occhi miei», che culmina dopo un acceso dialogo con Scitalce nella quale si aggrovigliano tutte le tensioni drammatiche accumulatesi nella tesa conversazione. L’agitata regina incredula dell’atteggiamento altrui –

 

E questa è la mercede

che rendi a tanto amore

anima senza legge e senza fede?

Tradita, disprezzata,

ferita, abbandonata,

mi scopro, ti perdono,

t’offro il talamo, il trono

e non basta a placarti

e a pietà non ti desti,

qual fiera t’educò? Dove nascesti?

 

– esplode con perizia nella veemente pagina in re minore dove la scrittura sillabata accentua l’attorialità dell’interprete, e il peso testuale, in una girandola d’affetti che trova nutrimento nell’auto-compassione dell’incomprensione:

 

Misera a chi serbai

amore e fedeltà,

a un barbaro che mai

non dimostrò pietà,

che vuol ch’io mora.

 

Il famoso Grimaldi, tra gl’idoli del Teatro San Bartolomeo di Napoli, nella stagione 1723-24 è affiancato in scena da Marianna Benti Bulgarelli mentre in quella del 1731-32 da Lucia Facchinelli, in tutt’e due le stagioni è al centro di progetti scenici assai arditi che lo vedono destreggiarsi con disinvoltura nel suo ampio “repertorio” performativo.

Nel Silla dittatore, rifacimento de Il tiranno eroe di Vincenzo Cassano, musicato da Leonardo Vinci, egli ostende tutta la propria abilità scenica ed espressiva gestendo lo spazio scenico e il suo corpo con grande perizia tra azioni dissimili, furente appare in «Empi volete sangue», la cui prima quartina viene dal «drama» Spurio Postumio composto da Bononcini nel 1718 a Genova per il Teatro del Falcone, a conclusione di un’opera che lo ha visto grandeggiare nel suo ruolo di indiscusso performer.

Nell’aria eloquenti sono le pause coronate destinate a efficaci “silenzi” che rendono il gesto vocale più incisivo e icastico nel frangente drammatico in cui è preso da una sanguinaria vendetta.

Molto più composta è la pagina affidata alla Benti Bulgarelli-Emilia nel suo primo impegno solistico giocato su una nobile cantabilità.

Lo spettacolo rientrava nei festeggiamenti del «giorno natalizio di sua maestà cesarea cattolica […], come altresì [per] li festini per la coronazione della suddetta cesarea cattolica maestà in re di Boemia» tenuti il 3 ottobre per volontà vicereale che nella

 

mattina […] passò […] alla R. Cappella, ove assisté alla messa e Te Deum che solennemente vi si cantò […]. Il dopo desinare [vi] fu la […] cuccagna [eretta nella piazza del Real palazzo] saccheggiata dal popolo, godendone la vista dal principal balcone del regio Palazzo sotto ricco dossello S. Em. il sig. viceré e dagli altri tutte le dame e titolati […], e la sera poi passarono alla gran sala detta de’ Svizzeri, ove ascoltorono l’opera in musica intitolata Silla dittatore, precedendo ad essa il prologo allusivo alla coronazione delle cesaree cattoliche maestà in regnanti di Boemia con due vaghissime vedute, la prima delle quali rappresentava la valle di Hegra [= Flegra] con li giganti abbattuti e l’altra una reggia celeste con la coronazione delle suddette cesaree cattoliche maestà, e nel fine di ciaschedun atto furono compartiti di nuovo altri famosi e copiosi rinfreschi […] onde riuscì il tutto con indicibile magnificenza […].

 

Nicola Grimaldi, ormai al tramonto, nel corso della stagione 1731-32 si presta a ispirare agli organizzatori una grande stagione quando Saddumene è chiamato a confezionare un pacchetto di libretti destinati ad amplificare le sue qualità nonché quelle della partner Facchinelli. Nel corso di quest’anno anno teatrale ogni titolo doveva predisporre e creare attesa nel pubblico per l’esibizione del cantore nella lotta, a mani nude, contro una belva. Nel terzo atto dell’Argene,destinato alla musicazione di Leo, che deriva dal testo Argeno di Domenico Lalli rivestito di musica sempre da Leo (Venezia, 1728), il poeta è portato ad assumere dei tempi tragici assai stringenti e inediti rispetto al testimone veneziano.

Lo spettacolo prevede per il nuovo finale una successione di scene di notevole densità drammatica, con arie incalzanti come quella affidata al protagonista al cospetto della figlia perorante e del genero sprezzante «Son fra ritorte» (III.10), un’aria cinetica, ancora una volta, ad alto valore attoriale e priva di agilità, il tramonto vocale della stella si desume anche da queste scelte di un campionario di stilemi più propensi all’emozione “recitativa” che alla fascinazione “belcantistica”.

Per Napoli Nicolino/Argene non entra vinto condotto da Ordace ma appare fieramente armato e bellicoso; toccherà a Barsene fermare gli armigeri reclamando la morte per sé, ma il padre a questo gesto non si commuove anzi ha parole di sdegno nei confronti della figlia supplicante ai piedi del vendicativo sposo, sarà solo il gesto estremo della principessa a far cedere l’invitto re:

 

scena x

 

Barsene, e detto.

 

Bar. Ah! No fermate (si pone avanti le guardie.)

Pria di ferir Zamiro ahi sposo

Eccomi a piedi tuoi

Luce degl’occhi miei,

Deh per pietà. (s’inginocchia.)

Arg. Alzati vil che sei!

D’un indegno a le piante

La gran figlia d’Argene? Ah! non so come

Per tal viltà qui non ti sveno.

Zam. Ah perfido!

Reo di spietata inesorabil voglia

Così davanti al vincitor favelli?

A forza se gli tolga

L’infame acciar. (a le guardie.)

Arg. No, pria…

Bar. Deh Padre a me ti rendi

O ch’io con questo ferro… (Va per ferirsi, e il padre la trattiene e li consegna la spada.)

Arg. Ah ferma, prendi,

Cedo al destino. E tu che in grembo or sei

Di tua real fortuna

Cinto da forza di temuto Impero

Che d’avermi abbattuto empio presumi

In me t’affisa e trema!

Che il destin de’ Reggi è in man de’ Numi.

Zam. Del tuo destino incolpa

Il tuo furor. Come? Così la fede

Adempie un reggio Cor? Così mantiene

I sagri patti e ivi… e spiri ancora?

E di nome real t’adorni e freggi?

Olà.

Bar. Pietà Signor.

Zam. Voglio che mora.

Arg. Morrò barbaro sì. Ma questa morte

A te sol si dovea che occultamente

Il Reame, e la Vita

Tolto m’avresti. Il Cielo

A me scoprì l’arcano. Io ti prevenni

Nell’empietà, ma per punire il tuo

Scelerato delitto.

Dunque non io: Tu indegno

D’ogni dritto e dover varcasti il segno.

Zam. Anima vil. Nella fatale arena

Or sia tratto l’iniquo;

E al mio real Cospetto esposto sia

Delle fiere al furore.

Arg. Andiam. (a le guardie.)

Bar. Deh, no ti ferma.

Arg. Lasciami indegna.

Bar. Ah! mi si svella il Core.

Arg.   Son fra ritorte

        Ma non ti temo. (a Zamiro.)

        Tu al varco estremo

        Mi conducesti. (a Barsene.)

        Vado alla morte

        Mostro inumano (a Zamiro.)

        Figlia crudel. (a Barsene.)

           Il pianto è vano.

        La mia sventura

        Con Voi si resti,

        Figlia spergiura!

        Regge infedel!

 

È qui che Leo, ad esempio, è chiamato a dare ampio rilievo a quella struttura di aria cara a Nicolino fatta di repentini mutamenti di tempo e agogica, tra slarghi lirici e moduli recitativi – parlanti –, tesi a porre in evidenza i contrastanti affetti che agitano il personaggio. Nella gran scena dell’arena Nicolino non darà spettacolo di sé nella lotta contro le fiere, come sempre aveva fatto nei tempi trascorsi, l’impavido eroe delle mille lotte e duelli affida il suo prodigioso eroismo alla visionarietà di Barsene che ravvisa, in preda a uno stato confusionale, l’orrido spettacolo:

 

[…] Ah! già lo veggo

Entro le ingorde fauci

Delle fiere spietate

Spirar l’alma infelice. Ohimè fermate

Ecco la rea. Me divorar dovete…

A me tutta volgete

La crudeltà. Venite, io per salvarlo

V’offro il mio sen… misera me che parlo?

Già quell’infausta arena

Veggo dal sangue suo bagnata e tinta

Sparse le membra già! L’ignudo spirto,

La sua grand’alma, il volo

Ecco già prende. Oddio

Sen more il Padre e pur la rea son io.

Confusa smarrita

Dal Padre al periglio

Per me non v’è aita.

Non ho più consiglio

Che farmi non so.

 Al duolo ch’io sento

Sollievo non trovo.

L’amaro tormento

La pena ch’io provo

Spiegarsi non può. (III.12)

Il racconto fa pregustare il virtuosismo teatrale per il quale il grande cantore è ricordato dalle cronache e i resoconti del tempo, che esploderà solo nella gran scena allestita per la terza opera quando il celebre musico avrebbe dovuto trionfare sulla bellicosa fiera in un tessuto sonoro di grande impatto emotivo costruito dal giovane Pergolesi ma l’inesorabile falce non gli permise di stupire gli spettatori nel suo “numero” di alto teatro nella parte di Marziano ne La Salustia.

Un esercito di divi è radunato a Roma, nel 1726, in occasione del debutto de Il Valdemaro di Domenico Sarro; la locandina è abbagliante:

 

VALDEMARO, Figlio di Ricimero Re de’ Goti. Il Sig. Gaetano Berenstadt.
GERILDA, Sposa, ma non moglie di Ricimero, Amante in segreto di Valdemaro. Il Sig. Giacinto Fontana da Perugia, detto Farfallino.
ROSMONDA, Principessa di Norvegia, Amante, e Sposa di Valdemaro. Il Sig. Filippo Finazzi.
SUENO, Governatore del Regno, Amante di Gerilda. Il Sig. Domenico Gizzi, Virtuoso della Real Cappella di Napoli.
SIVARDO, Generale del Regno, Amante di Gerilda. Il Sig. Antonio Barbieri, Virtuoso di S.A.S. il Principe Filippo d’Armstat.
ALVIDA, Parente, e Confidente di Gerilda, e Amante di Sueno. Il Sig. Gaetano Majorano, detto il Cafarellino.
ALDANO, Principe di Norvegia, e Confidente di Rosmonda. Il Sig. Angelo Franchi.

 

Un drappello di virtuosi è interpellato per un’opera dalle molte particolarità che vanno dall’ambientazione scandinava al soggetto che promette di essere il sequel di una saga già avviata, in anni precedenti, ne Il Ricimero e Flavio Anicio Olibrio. Nell’Argomento il librettista accenna a precedenti e a manipolazioni dando segno di un’operazione “stemmatica” che probabilmente non sfuggì agli eruditi spettatori, tutt’altro che disattenti a cogliere le sottili “trame” intessute dagli abili poeti per musica. La sera del 16 febbraio il Teatro delle Dame accoglieva circa duemila persone per un evento segnato dalla presenza di Giacomo III d’Inghilterra e la sua consorte Clementina Sobieska, dedicataria del «Drama per Musica». Sarro, da poco arcade come Daspio, faceva la sua prima apparizione sulle scene romane esibendo anche l’ambito rango di appartenenza alla Cappella Reale di Palazzo di Napoli come vicemaestro. È il “diarista” capitolino Francesco Valesio a ragguagliare sull’insolita operazione che viene compiuta in questa occasione:

 

Questa sera andò in scena il secondo dramma […] intitolato il Valdimaro (sic), composto da Apostolo Zeno o col titolo di Teuzone, imperatore della Cina, ma ha bisognato mutare il titolo e l’opera […] essendosi espressi i padri gesuiti per via della congregazione di Propaganda Fide, acciò non si rinnovassero i discorsi con tale occasione intorno gli emergenti scandalosi di quell’imperio avvenuti per conto de’ pontificii decreti, poco osservati da’ medesimi padri.

 

L’avvio è allineato, apparentemente, al testimone zeniano ma dopo i primi due versi l’anonimo accomodatore abbandona il tracciato originario per offrire a Valdemaro – ex Troncone – l’opportunità di una struggente scena in cui descrive le gesta del padre Ricimero che benché vittorioso sulle schiere nemiche, per le troppe ferite giace moribondo nella sua tenda (in grassetto i versi di Zeno):

 

SCENA PRIMA.

Campi di Battaglia trincerati, con Padiglioni, ed illuminati di notte.

Esce doppo il combattimento Valdemaro con spada nuda, Sueno, e Sivardo.

Valdemaro: Nostro, amici, è il trionfo; Umblo il rubello

cadde, e la pace al nostro impero è resa.

Della felice impresa

vostra tutta sarà la gloria, e il frutto:

io sol ne traggo amaro danno, e lutto.

Sueno: Come?

Sivardo:         Perché?

Valdemaro: Crudo immaturo fato

spoglia voi del monarca, e me del padre.

Sueno: Tal dunque?…

Valdemaro:  Sì: quando più ardea la mischia

Ricimero vid’io vidilo: (e ancora

m’empie d’orror la dolorosa vista.)

Vidi il gran padre mio nel destro fianco

mortalmente ferito.

Sueno: Oh danno!

Sivardo:                    Oh sorte!

Valdemaro:                              Alla regal sua tenda

lordo di sangue, e scolorito in faccia

Tratto ei così venia

de’ suoi scudier sulle pietose braccia;

quando in me fissi i lumi

figlio, mi disse, io moro,

ma moro vincitor; più nobil fine

non poteami dal cielo esser prescritto.

Si applauda: vissi assai, se moro invitto

indi seguì: non ti prendesse mai

una inutil pietà, talché seguire

volessi il padre, e abbandonar la pugna.

Segui, se m’ami, o figlio,

segui la mia vittoria,

e siati a cuor più che la vita mia,

l’onor della mia gloria.

Tacque, e lasciommi.

Sueno:   Io corro

su quella destra invitta

ad imprimere almen l’ultimo bacio. (parte.)

Valdemaro: Ed io ti seguo. Tua, Sivardo, intanto

la cura sia di radunar le squadre,

mentre un tenero amor mi tragge al padre.

Sivardo: Vanne, signor, che al regal letto accanto

m’avrai fra poco a sparger teco il pianto.

Valdemaro: Di pianto non è degna

la morte degl’eroi:

e ancor morendo il genitor m’insegna,

sia rea, sia buona, a non curar la sorte;

e a viver solo, ed a morir da forte.

   Se fossero le lagrime

certezza di dolor,

tu mi vedresti piangere

l’amato genitor.

Ciò che alma vil sa fingere

sdegna verace amor;

di sua virtù l’imagine

io serberò nel cor.

L’esemplarità eroica del commiato e le lagrime trattenute sono il giusto viatico per una storia intricata e accidentata, l’azione è costellata da inciampi e peripezie tra ambizioni di potere e aspirazioni a talami negati, l’aria «Se fossero le lagrime» proietta la platea in una dimensione affettiva inequivocabile dove ragione e sentimento cozzano nell’esistenza dei “prìncipi”.

È nell’introduzione strumentale che è rivelato lo stato d’animo del giovane eroe, tra terzine e struggenti mordenti si consuma un cerimoniale dell’anima che nel disegno vocale trova esiti magistrali in un canto che rinvia a composti singulti che sfociano nel perorante melisma dell’esibito amore per il genitore, sempre con figurazioni irregolari – sestine e terzine – e “singhiozzanti” mordenti. Il celebre Berenstadt in tal modo imprimeva la sua abilità interpretativa suggestionando gli ascoltatori in una girandola di occorrenze affettive diverse tutte compulsate nel recitativo che precede la “muta” riflessione.

Anche per Gerilda si ricorre nel secondo atto alla scrittura di una nuova scena tesa a rivelare lo stato d’animo di colei che cerca di usurpare il trono, eppure di fronte all’amore non corrisposto di Valdemaro anche il seggio le pare insopportabile:

Si salvi, e tanto solo

viver se gli consenta,

che io giunga a dirgli ingrato, ed ei mi senta;

ah Gerilda! che parli? invan ti vesti

di rigore; e di sdegno;

se perdi Valdemaro,

che giova a te l’aurea corona, e il regno?

Tutto per lui…; ma s’egli intanto cade,

inutilmente io gli userò pietade.

Ah che nel mezzo ai mesti miei pensieri

quel ch’io tema, non so, né quel ch’io speri.

L’Idol mio veder mi sembra

moribondo al piè cadermi;

già lo miro, già lo sento,

che tormento! che dolor!

Quel gran duolo, ch’io pavento

sarà forse, oh Dio, men fiero

della pena, che al pensiero

va mostrando il mio timor. (II.6)

Sarro con sapienza scenica realizza in recitativo semplice la parte destinata alla retorica “interrogazione” e alle dubbiose azioni ma quando la temeraria donna si “racchiude” nel mondo interiore ecco avanzare un lacerto di recitativo accompagnato – gli ultimi due endecasillabi – che fa da raccordo con la desolata aria. La cifra melodica di Sarro qui si dispiega nelle arcate melodiche che caratterizzano un nuovo modo di sentire che emancipano l’autore dai suoi grandi modelli compositivi ravvisabili in Alessandro Scarlatti e Francesco Mancini.

Le strategie messe in atto dagli autori di scuola, si sottolinea scuola, napoletana emergono in tutta la loro originalità in un sistema che, seppur sottoposto a rigorose esigenze rappresentative, riesce a corroborarsi incessantemente creando percorsi di insolita autenticità.

Paologiovanni Maione


Christophe Rousset

Dopo il primo approccio alla musica con lo studio del pianoforte, a 13 anni mostra interesse per la musica antica e il clavicembalo; studia a Parigi alla Schola Cantorum con la clavicembalista Huguette Dreyfus, e in seguito si perfeziona presso il Royal Conservatory dell’Aia, sotto la guida di Kenneth Gilbert, Bob van Asperen e Gustav Leonhardt. Nel 1983 vince il primo premio al Concorso Internazionale di Clavicembalo di Bruges.

Inizia quindi l’attività concertistica internazionale, sia come solista, partecipando ai più prestigiosi festival di musica antica, sia collaborando con orchestre barocche, quali l’Academy of Ancient Music, Les Arts Florissants, Musica Antiqua Köln, La Petite Bande e Il Seminario Musicale.

Nel 1991 fonda un proprio ensemble, Les Talens Lyriques, nome scelto in omaggio a Jean-Philippe Rameau, autore dell’opéra-ballet Les Fetes d’Hebe ou Les Talents lyriques.

Ha realizzato molte incisioni discografiche, sia come clavicembalista solista, sia come direttore d’orchestra. Nel suo repertorio hanno un maggior rilievo i musicisti della scuola francese, come François Couperin e Rameau, ma grande attenzione è rivolta anche verso altri stili del barocco europeo, in particolare napoletano. Con Les Talens Lyriques ha registrato la colonna sonora del film Farinelli – Voce regina, e ha vinto il Gramophone Award del 1992 e del 1998 per la musica barocca. Nel 1995 ha ricevuto il premio Classical Awards di Cannes per il disco Bach: Partitas, Bwv 825-830. Nel 2013 ha ricevuto il Premio Traetta dalla Traetta Society per il suo impegno e la sua passione nella riscoperta del patrimonio musicale europeo. È docente di clavicembalo presso l’Accademia Musicale Chigiana di Siena.


Teresa Iervolino

Grande stella nascente della lirica nel panorama mondiale, nasce a Bracciano (Roma) il 14 Maggio 1989 e già da bambina dimostra interesse per la musica cosi che all’età di 8 anni inizia a studiare pianoforte. Successivamente attratta dall’opera decide di dedicarsi al canto lirico, continuando parallelamente lo studio del pianoforte e affiancando quello della composizione.

Nel 2011 consegue il diploma di canto con il massimo dei voti e lode. Nel 2012 vince il 63° concorso per giovani cantanti lirici d’Europa 2012 ASLICO, al quale susseguono altre tante vittorie a concorsi di alto rilievo internazionale come il Concorso Maria Caniglia,il Concorso Premio Etta Limiti, etc. Nel 2012 inizia cosi la sua scalata ai maggiori teatri e festival lirici italiani e internazionali, facendo il suo debutto al Teatro Filarmonico di Verona nel Pulcinella di Stravinskyj. Nello stesso anno debutta il ruolo di Isabella nell’Italiana in Algeri al Ravenna Festival, ruolo successivamente interpretato anche al Massimo di Palermo e all’Opera Lorraine di Nancy.  Nel 2013 debutta Tancredi, uno dei suoi cavalli di battaglia ,nel Circuito Lombardo  e nello stesso anno , oltre ad altri impegni, fa anche il suo debutto nel famoso Festival di Spoleto come  Fidalma nel Matrimonio Segreto di Cimarosa. Nel 2014 arriva il suo doppio debutto all’Opera di Roma, come Calbo in Maometto II di Rossini, susseguendo il suo trionfo allo Chatelet di Parigi come protagonista nella Pietra del Paragone di Rossini e il suo debutto al San Carlo di Napoli nel Pulcinella di Stravinskyj. Nel 2014 importantissimo è il suo debutto come Rosina nel Barbiere di Siviglia, al Festival di Caracalla dell’Opera di Roma, ruolo che interpreterà ancora tante volte, nello stesso Teatro dell’Opera di Roma e con il quale farà il suo debutto allo Sächsische Staatsoper di Dresden nel 2016. Nel 2015 debutta nella Gazza ladra nel rinomato Rossini Opera Festival nel ruolo di Lucia, ruolo con il quale fa il suo ingresso alla Scala di Milano nel 2017. Susseguono a questi i suoi debutti al Duch National Opera di Amsterdam, la Fenice di Venezia, all’Opera Frankfurt, interpretando sempre ruoli di protagonista.

Nel 2016 debutta il ruolo titolo nella  Cenerentola di Rossini al Teatro Regio di Torino , riscuotendo un grandissimo successo che la porterà cosi ad interpretare questo ruolo in vari teatri italiani e internazionali, e a fare il suo ingresso da protagonista all’Opera de Paris nel 2017. Nel 2017 da ricordare il suo debutto come Maffio Orsini nella Lucrezia Borgia di Donizetti , ruolo già interpretato piu’ volte come alla ABAO di Bilbao, al Salzburger Festspiele, ruolo con il quale nella primavera del 2018 fa il suo debutto anche al Bayerische Staatsoper di Munich.

Tutto questo sempre diretta da grandi direttori come Roberto Abbado, Alberto Zedda, Jean-Christophe Spinosi, Ivor Bolton, Donato Renzetti, Rinaldo Alessandrini, Marc Minkowsky ,Ottavio Dantone, Riccardo Chally, Daniel Harding, Marco Armiliato, Daniel Oren, Christophe Rousset.

Da ricordare anche la sua incisione come Rosmira nella Partenope di Handel per la Warner Classic Erato con l’Orchestra del Pomo D’Oro, a fianco di grandi cantanti del repertorio Barocco come Philippe Jaroussky e Karina Gauvin, e le sue due ultime incisioni di Betulia Liberata di Mozart nel ruolo principale di Giuditta e dell’Armida di Salieri nel ruolo di Ismene , entrambe per la casa discografica Aparté con l’ensemble Les Talens Lyrique diretto dal maestro Christophe Rousset.

Il mezzosoprano irpino continua tutt’oggi la sua ascesa verso una carriera di alto prestigio, infatti, tra i suoi trionfi recenti troviamo il suo Rinaldo al Festival della Valle D’Itria, il suo trionfo già avuto con Lucrezia Borgia , con la Cenerentola al Bayerische Staatsoper, il suo acclamato Arsace al Teatro La Fenice nella Semiramide di Rossini, il suo ritorno sempre come protagonista nella Juditha Triumphans di Vivaldi al Duch National Opera di Amsterdam, il suo debutto come Diana nella Calisto di Cavalli al Teatro Real di Madrid e il suo successo nel ruolo di Pierotto nella linda di Chamounix al Teatro del Maggio Musicale Fiorentino e il suo trionfale debutto all’Arena di Verona nel Nabucco diretto da Daniel Oren.

Tra i prossimi impegni ci sarà il suo ritorno al Teatro Real de Madrid con la Partenope di Handel e il suo ritorno al Duch National Opera di Amsterdam nel Giulio Cesare di Handel, il suo debutto al Liceu di Barcelona nel ruolo di Adalgisa nella Norma di Bellini e io suo debutto nella Messa di Gloria diretta dal M. Antonio Pappano.


Ensemble Talenti Vulcanici

Talenti Vulcanici è un progetto in cui la Fondazione Pietà de’ Turchini ha indirizzato, negli ultimi anni, le proprie energie migliori per la realizzazione di un progetto volto a formare e a promuovere talenti musicali di più giovane generazione. Oltre all’entusiasmo di mettere a disposizione di giovani eccellenze l’esperienza e i contatti per dare forma alle loro aspirazioni, questo progetto offre a chi vi prende parte l’opportunità di scoprire l’universo culturale di Napoli, di cercarne le armonie e le incredibili suggestioni tra le pieghe delle sue enormi contraddizioni, di appropriarsi, divenendo ambasciatori, della sua gloriosa e inesauribile storia musicale. L’ensemble, regolarmente coinvolto a Napoli in occasione delle stagioni concertistiche della Fondazione Pietà de’ Turchini, ha richiamato l’interesse di istituzioni quali la Fondazione Pergolesi Spontini di Jesi, Concerti del Quirinale (organizzata da Rai Radio 3 alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella), Accademia Musica Antica Milano, Festival Muse Salentine, Festival Barocco Alessandro Stradella,Stockholm Early Music Festival, che hanno voluto l’orchestra nel proprio cartellone. Tutti i CD sono stati pubblicati dall’etichetta discografica franceseArcana(Outhere) in una collana editoriale, impreziosita dalle opere diMimmo Jodice, dedicata a Napoli e al suo patrimonio musicale raro e inedito.


Simone Pirri

E’ un giovane violinista, classe ’94, caratterizzato da una personalità coinvolgente ed eclettica. Spinto da una profonda passione per la musica del periodo barocco e classico, Simone si specializza principalmente nell’esecuzione d’epoca e nelle sue pratiche storiche. Musicista versatile, Simone è ricercato in qualità di solista e spalla, musicista da camera e orchestrale. Si esibisce regolarmente in tutta Europa (e non solo) con alcuni dei gruppi di musica antica più apprezzati. Vanta collaborazioni con Il Pomo d’Oro, Musiciens du Louvre, Ensemble Pygmalion, Collegium 1704, Ensemble Diderot, La Serenissima, Arcangelo, Ensemble Jupiter, Brecon Baroque, Holland Baroque, Orchestra of the Age of Enlightenment, La Nuova Musica ed Oxford Bach Soloists. Ha inciso dischi per Alpha, Outhere, Chandos, Pentatone e Audax Records ed è recente vincitore di un Diapason d’Or per un disco in formazione cameristica con Ensemble Diderot. Attualmente è violino di spalla con New Trinity Baroque (Serbia/Regno Unito) e Eboracum Baroque (Regno Unito). Simone si è esibito in alcune delle sale da concerto più importanti al mondo tra cui la Royal Albert Hall (Londra), il Lincoln Center (New York City), il Teatro alla Scala (Milano) e Wigmore Hall (Londra). Sul suolo britannico è stato vincitore di vari premi e borse di studio assegnategli da enti prestigiosi tra cui The Countess of Munster Musical Trust e Help Musicians UK. Tra 2019 e 2021 è stato uno dei giovani artisti sostenuti dal museo Handel & Hendrix di Londra. Da settembre 2020 è docente di violino barocco presso l’Accademia di musica antica di Belgrado (Serbia) dove tiene regolarmente concerti, corsi e masterclasses. Diplomatosi brillantemente in violino moderno all’età di 17 anni presso il Conservatorio Luisa d’Annunzio di Pescara, sua città natale, prosegue i suoi studi in musica antica nel Regno Unito perfezionandosi con musicisti di fama quali Rachel Podger e Simon Standage. Si è infatti formato alla Royal Academy of Music di Londra (da cui ha ottenuto un Master of Arts with Distinction nel 2016) e successivamente al Royal Welsh College of Music and Drama di Cardiff, ottenendo un Postgraduate Diploma with Distinction nel 2017. Simone suona un violino di Pietro Paolo De Vitor (1730-40, Venezia) messogli generosamente a disposizione dalla Harrison-Frank Family Foundation di Londra per una durata complessiva di 5 anni.

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